Mi sa che fuori è primavera.
Una giornalista, Concita De Gregorio, intervista una donna,
non una donna qualsiasi, ma una donna che è stata vittima di una grande
violenza psicologica, la peggiore, e che ha subìto una irrimediabile perdita,
anzi due.
Non avevo capito subito, ci ho messo un po’ per mettere a
fuoco l’episodio, ne parlarono poco forse, rispetto agli eclatanti casi di
scomparse di bambini avvenute in Italia.
È il 31 Gennaio del 2001, Matthias, prende con sé Alessia e
Livia, le sue figlie, e sparisce da Saint Sulpice, dove vive. A bordo della sua
auto l’uomo passa la frontiera tra la Svizzera e la Francia, Acquista tre
biglietti, tre, per il traghetto per la Corsica, sul quale si imbarca la sera
stessa per arrivare sull’isola il giorno seguente. La magistratura francese ha
la prova che i tre biglietti sono stati convalidati al servizio di check-in nel
porto di Marsiglia. L’uomo è avvistato per l’ultima volta il 3 febbraio,
all’ora di pranzo, a Vietri sul Mare. L’ultima tappa è la stazione di Cerignola,
in Puglia, dove Matthias , scrive a Irina : “Le Bambine riposano in pace, non
hanno sofferto, non le rivedrai mai più”. Più tardi si fa travolgere da un
treno. Le gemelline sono state viste per l’ultima volta a Propriano, in
Corsica, dove erano sbarcate insieme al padre. Da allora non sono state più
ritrovate.
Questi i fatti, agghiaccianti, ma pur sempre fatti. Eppure
in Svizzera, il paese della precisione per antonomasia, ci sono delle cose che
non quadrano. Irina, la madre, delle gemelline, è di origini italiane.
Percepisce una sorta di superficialità nell’affrontare le indagini e, ancor
peggio, capisce che le viene addossata la colpa delle scelte psicopatiche del
marito perché lei aveva chiesto la separazione, con l’aggravante razzista di
essere italiana.
La scrittura della giornalista è chiara, breve e scorrevole.
Procede per brevi lettere che si immaginano scritte da Irina. Interessante è
proprio quella inviata al procuratore capo e responsabile della polizia
investigativa svizzera, al quale lei denuncia tutte le mancate indagini fatte
riguardo il caso:
• Non è stata contattata la psicologa che aveva definito
l’uomo a suo tempo in cura, personalità psicorigida, per intenderci, un maniaco
dei post-it e dell’ordine.
• Non è stato analizzato il terreno trovato sotto lo scarpe
dell’uomo, perché , a detta degli svizzeri, la terra è uguale ovunque (forse
non hanno mai visto come lavorano i RIS in Italia, peccato!).
• Non è stata mai messa sotto sequestro la casa.
• Da quel giorno Irina non ha più visto i familiari del
marito, ai quali tra l’altro andava l’eredità.
Quando la realtà va oltre il thriller non c’è da scherzare.
Eppure è un romanzo che gli adolescenti devono leggere. Non
ci sono scene raccapriccianci, non scene di violenza, non sangue. Eppure c’è
qualcosa di più profondo e difficile da capire e da gestire: è la violenza
psicologica, fa più male, non c’è cura per quella. C’è una lettera, che Irina
scrive al padre, dove si legge: “A volte penso che l’abitudine alla violenza
come forma ordinaria di convivenza-come modalità dei legami d’amore-non mi
abbia aiutata da adulta, a riconoscere il pericolo.” Questa la dice lunga sul
fatto che noi siamo ciò che i genitori ci hanno trasmesso, sempre e comunque.
Rosaria Vallone
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